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27 Febbraio 2025

Giovanni delle Bande Nere

giovanni delle bande nere

Il gran diavolo, condottiero italiano tra i più celebrati: Giovanni delle Bande Nere e la sua compagnia di sanguinari “commandos”

Sono esistiti innumerevoli personaggi storici divenuti celebri per la loro capacità di guidare gli uomini in battaglia. Valenti condottieri, talvolta spietati, dotati perfino di una certa dose di spettacolarizzazione, che li rendeva unici, leggendari, e spaventosi. Oggi voglio parlarvi di uno di loro. Un condottiero italiano vissuto nei primi decenni del Cinquecento, al cui comando marciava una compagnia d’élite, pochi uomini ma letali, le cui armature e insegne erano brunite, a ricalcare il nero colore della morte: le Bande Nere, così si chiamavano questi sanguinari. E il loro condottiero, nonché protagonista di questa storia spettacolare, era Giovanni de’ Medici. Detto il Gran Diavolo.

Nacque nel 1498, figlio di Giovanni il Popolano, della famiglia dei Medici di Firenze, e di Caterina Sforza: una donna incredibile che di sicuro ha trasmesso il gene del coraggio e della combattività al figlio Giovanni; per il poco tempo che ebbe a disposizione, perché Caterina trascorse anni imprigionata da Cesare Borgia in seguito a vicende guerresche di cui lei stessa fu al centro, e poi morì di polmonite. Il padre era già morto da tempo, quindi il nostro Giovanni si trovò orfano, con eccellentissimi tutori nuovi di pacca, vogliosi di occuparsi di lui: il ricchissimo fiorentino, Jacopo Salviati, e sua moglie, Lucrezia, la figlia di Lorenzo il Magnifico.

Nel giro di un minuto abbiamo elencato praticamente tutti i personaggi di cui si racconta sempre nei thriller storici: Borgia, Medici, ecc… E con un simile incipit le vicende di Giovanni non possono che iniziare col botto, perché il ragazzo diede subito modo di farsi notare, a Firenze, in quanto fin da giovanissimo organizzava bande armate, di giovani come lui, per andar a far la guerra alle bande degli altri quartieri. Una guerra vera, con le armi, per le strade. E infatti, Giovanni fu riconosciuto responsabile di un episodio in cui un ragazzo finì ammazzato. C’è chi dice che in verità non vi fu nessuna vittima, ma solo una ferita grave, fatto sta che resta la condanna per Giovanni, il quale fu bandito dalla città. Ed era ancora un adolescente.

In seguito, Giovanni seguì il suo tutore, Salviati, a Roma, dove anche lì si distinse per il suo bollore sanguigno. Perché formò un’altra compagnia di giovani e ardenti sanguinari, e nella splendida cornice di Castel Sant’Angelo, sullo stesso ponte, diede inizio a una battaglia: Giovanni e i suoi a cavallo, circa una ventina, pugnarono contro dei nemici a piedi, armati di lance, picche, e pure in gran numero, secondo alcune fonti arrivavano a essere duecento. Giovanni, in completa inferiorità numerica, si lancia contro di loro al comando dei suoi compagni cavalieri, sul ponte, e disperde i nemici uccidendone il capitano. Una vicenda che definisce omai quale fosse la strada di Giovanni, che stando alle testimonianze dell’epoca “nelle lettere valea poco, perché fino dall’infanzia trascurò lo studio1, ma di guerra, però s’intendeva.

Gli scontri, le “sassaiole” (ovvero le battaglie che si svolgevano col lancio di pietre tra fazioni cittadine, una tipologia di scontro che avveniva non di rado nei comuni medievali, di cui parlo in un episodio dedicato della playlist Leggende Affilate), i duelli e le scaramucce: svariati episodi violenti, alcuni piuttosto brutali, cui partecipò Giovanni e che spesso vengono mischiati tra loro nelle fonti. Alcune fonti riassumono così la sua infanzia: “a battagliar coi compagni, e pestarli, e graffiarli, e ritornare a casa tutto livido e sporco di sangue” 2.

 Quel che interessa a noi, però, è tratteggiare il ritratto di questo ragazzo cresciuto con la spada in pugno, potremmo definirlo anche abbastanza spietato, ma altrettanto carismatico: un carisma tale che fin da ragazzo gli permetteva di formare una banda di coetanei che lo seguissero a far danno. Si fece notare, insomma, più volte, e questo non fu sempre un male. Perché i potenti avevano sempre bisogno di uomini come lui. E tra un bando e l’altro, una condanna e una punizione, al termine della sua adolescenza, Giovanni de’ Medici finì per essere assoldato, per combattere sul campo, per davvero: sotto le insegne pontificie di papa Leone X, suo parente, poiché appartenente al ramo dei Medici (fratello della moglie del Salviati). Da questo momento in poi comincia la carriera di condottiero di ventura, al comando di una compagnia d’élite che lui stesso forma nel corso del tempo, dimostrandosi scaltro, arguto, e anche piuttosto avanti coi tempi.

Perché siamo agli inizi del Cinquecento, tra cavalieri in armatura di piastre di ferro, spade e fanti armati di lance e picche. Ma Giovanni aveva con sé un nutrito gruppo di archibugieri a cavallo.

L’archibugio è l’antenato del nostro fucile. Tra le prime armi da fuoco portatili della storia, nonché la prima a riscuotere un vero e proprio successo sul campo di battaglia. Perché di armi da fuoco se ne usavano già a partire dal XIV secolo, nel tardo medioevo, ma fino ad allora non avevano mai avuto un ruolo determinante. Con l’archibugio, invece, cominciarono a comparire interi reparti di soldati armati e addestrati per sparare, tutti assieme, magari ben difesi dietro una selva di picche o qualche ostacolo naturale. E avevano successo, e i signori europei cominciarono a impiegarli in maniera diffusa. Giovanni de’ Medici, però, non si limitò a impiegare gli archibugi, ma fece un ulteriore passo avanti: unendo questa sorta di fucile con la mobilità di un elemento da sempre centrale nella guerra dei secoli precedenti, il cavallo.

Perché le formazioni dell’epoca, specialmente quelle che prevedevano le lance e le picche, e gli archibugieri stessi da disporre in una linea precisa sul campo, erano terribilmente lente, e in certe occasioni vulnerabili. Se non schieravi bene i tuoi archibugieri, e non li proteggevi con una barriera di picchieri di fronte, che al tempo stesso dovevi difendere ai fianchi, ecco, crollava tutto. La strategia di Giovanni, nonché l’intuizione che lo rese il numero uno nelle guerre italiane in determinati contesti, era quella della guerriglia: assalti aggressivi, veloci, mirati. I suoi uomini si muovevano a cavallo per attaccare a sorpresa, magari stando in due sulla sella: cavaliere e archibugiere. In modo da poter schierare rapidamente una linea d’armi da fuoco, prima dell’avversario, oppure di spostare truppe sul campo in maniera efficace e fulminea. Senza contare la versatilità che consentiva alle Bande Nere di essere una minaccia per qualsiasi esercito, anche immensamente più grande: perché durante gli spostamenti, le lunghe marce e le ritirate, giungeva all’improvviso Giovanni de’ Medici che in un baleno si schierava coi suoi, e seppur fossero pochi, riusciva a spezzare una colonna in marcia, una retroguardia, tagliare linee di rifornimento, e assalire eserciti (ripeto, anche più numerosi) che non si aspettavano minimamente d’essere assaliti.

Giovanni de’ Medici, con le sue Bande Nere, aveva creato una compagnia che arrivò massimo a qualche migliaio di uomini, e che potremmo definire di “incursori”, di “commandos” rinascimentali. Che molti storici definiscono tra le prime in Europa a contare l’impiego massiccio ed efficace di questa tipologia di archibugiere a cavallo.

I suoi uomini erano, poi, ben equipaggiati per il compito, ovvero in maniera leggera, ma sicura. Gli elmi che Giovanni voleva per loro erano prevalentemente celate alla borgognona, stando ad alcune fonti, ovvero elmi con visiera che potevano esser chiusi sul volto, a coprire interamente il capo, al posto degli elmi a “cappello” molto frequenti, che lasciavano i visto interamente scoperto. Inoltre le sopravvesti dovevano essere comode. E i cavalli stessi erano piccoli, leggeri, veloci. E, addirittura, per i suddetti archibugieri, preferiva ronzini, ovvero cavalli di poco pregio, perché il solo scopo era di trasportarli sul campo, farli smontare e schierare con gli archibugi spianati, pronti a far fuoco.

“Fu dei primi a dar loro comode sopravvesti, e celate alla borgognona, e cavalli picoli; posciachè la milizia leggiera era il suo fatto. Anzi, per condurre più celeremente le fazioni di guerra, soleva trasportare i suoi archibugieri dall’ uno all’altro sito sopra ronzini di poco pregio, da cui smontavano, tostochè occorreva.di venire alle mani. E di qui forse la prima idea dei Dragoni, sorta di milizia a cavallo e a piè, della quale si fece molto uso nei due secoli scorsi.”

Storia delle compagnie di Ventura in Italia, Ricotti E.

Alcuni storici riconducono tutto questo a una prima intuizione cinquecentesca per quel che sarà la guerra dei secoli seguenti, addirittura fino all’Ottocento, e alle cavallerie dotate di armi da fuoco, come lo saranno i dragoni, i carabinieri e i corazzieri delle guerre napoleoniche. Ma anche se quella di Giovanni non dovesse essere considerata un’invenzione, di un genio fuori dal suo tempo, si tratta comunque della migliore applicazione di una strategia che Giovanni aveva perfettamente compreso e sapeva piegare al suo volere. Infatti, la sua capacità davvero straordinaria era l’organizzazione, il comando, la tattica. Un aneddoto famoso3 vuole che lo stesso Niccolò Machiavelli, un grande fan del condottiero, che rispondeva alle caratteristiche di principe da lui teorizzate, si trovasse a manovrare le Bande Nere per gioco: un giorno Machiavelli, amico di Giovanni, provò a comandare una manovra tattica, schierando le truppe di Giovanni. Si racconta, però, che non vi riuscì. Machiavelli non si dimostrò affatto un buon capitano. E invece, Giovanni, con tamburi e musicanti, in un lampo ordinò le schiere come voleva lui, davanti agli occhi ammirati di Machiavelli che poi, nelle sue opere, lodò molto il condottiero delle Bande Nere, definendolo uno dei migliori uomini che aveva l’Italia.

Insomma, questo è uno degli aneddoti che favorirono la fama di Giovanni de’ Medici, che da violento ragazzo di strada, sempre a duellare e far casini in città, divenne un grande condottiero in brevissimo tempo, combattendo guerre, battaglie, assedi. E lo fece al comando di una compagnia di uomini esperti e fedelissimi, che lo ammiravano grandemente. Di aneddoti, in questo senso, ce ne sono una marea. Aneddoti che riguardano anche la sua bravura individuale, naturalmente, perché lui era un condottiero che in prima persona usava impugnare la spada e per primo cavalcare incontro al nemico, un’abitudine a far la guerra quasi letteraria che gli costò la vita nel pieno della carriera, come vedremo a breve, in maniera drammatica.

Giovanni era un bell’uomo anche, di bella carnagione, rada barba (e, infatti, gli vengono attribuite numerose scappatelle con affascinanti dame), ed era ovviamente forte. Abile a combattere e anche a nuotare4. Si dice che per due volte attraversò il fiume Po a nuoto con la corazza indosso. Un esercizio, quello del nuoto, che faceva fare anche ai suoi uomini, per tenerli forti e resistenti. Ma non voglio far passare questa storia come una biografia romanzata, tutta gloria e bei sorrisi. Perché quelli erano uomini spietati, lo ribadisco. Se non si fosse capito dall’infanzia turbolenta, tra sassate e mani sporche di sangue, Giovanni era un guerrafondaio, naturalmente fuori dai nostri canoni contemporanei, come lo erano tutti all’epoca. E i suoi uomini non erano da meno.

“Se le Bande Nere erano la migliore e più riputata fanteria e la più temuta che andasse attorno in quei dì, erano anche la più insolente e la più rapace e fastidiosa” dice uno storico del tempo5. Uomini irruenti, che stavano sempre a far rissa e che Giovanni controllava, e puniva, in maniera spietata.

Si racconta che una volta, dopo averli ammoniti senza ottenere risultati, si trovò con due tra i più valorosi soldati delle Bande Nere che non la smettevano di litigare e venire alle mani. E allora, Giovanni, stanco delle loro risse, li chiuse a chiave in una camera bene armati, e dichiarò che avrebbe riaperto la porta solo quando ne fosse rimasto uno tra i due. E i due cominciarono a lottare, in maniera sanguinosa, tanto che a un certo punto crollarono entrambi a terra, morenti, senza più energie. E Giovanni non apriva. Perché voleva che ne morisse uno. Fu costretto ad aprire la stanza solo quando cominciarono a pregarlo gli altri, e soprattutto un signore dei Gonzaga. Quando aprirono la porta si trovarono davanti uno spettacolo raccapricciante: tutto il pavimento coperto di sangue, e i due contendenti per terra, feriti gravemente, più di là che di qua. Da allora, le Bande Nere stettero tranquille per un bel po’ di tempo, senza più voglia di far risse.

Le Bande Nere, che come ho detto all’inizio erano nere per davvero, con le insegne nere e le armature brunite. Ma perché? Perché tutta questa spettacolare messinscena? La risposta ufficiale, è che il committente di Giovanni, papa Leone X, a un certo punto tirò le cuoia. E il condottiero per dimostrare il proprio cordoglio, fece annerire le insegne, a lutto. Un qualcosa che, probabilmente, sarebbe dovuto durare per un breve periodo. Ma siccome Giovanni e le sue bande diventavano sempre più celebri, anche al di fuori dei confini italiani, quella loro caratteristica dell’essere neri divenne marchio di fabbrica. Le bande di Giovanni de’ Medici cominciarono a essere chiamate nere, e da quel momento in poi, non si smise più.

Morto il papa se ne fa un altro. E pure Giovanni si trova un altro committente, ovvero la parte avversa: i francesi! Giovanni e le Bande Nere cambiano schieramento per via del caos lasciato dalla nuova elezione pontificia e agli equilibri italiani infranti, tra signorie e comuni che si riallineano diplomaticamente. E a dimostrazione di quanto fossero stimate e desiderabili le sue bande, successivamente Giovanni poté cambiare ancora schieramento, combattendo ora dalla parte degli imperiali, ora coi francesi. La sua spada era contesa da tutti i signori, che mettevano da parte ogni rancore ed erano disposti a pagarlo montagne d’oro pur di averlo al proprio fianco. Perché Giovanni con le sue tattiche fulminee, mirate, era preziosissimo, e più volte si dimostrò fondamentale in svariate guerre, sia quelle vinte, che quelle perse. Perché quando la sorte era favorevole, le Bande Nere permettevano di spingere gli uomini alla vittoria schiacciante, mentre invece, quando la battaglia era persa, le Bande Nere proteggevano la ritirata, o si soffermavano col nemico per guadagnare tempo, e infastidirlo, e farlo desistere dall’inseguire la lunga colonna di sconfitti in marcia. Cosa che non avvenne in una grandiosa sconfitta in una spettacolare battaglia cinquecentesca, tra le meglio rievocate oggi giorno, ovvero la battaglia di Pavia del 1525.

Giovanni de’ Medici e le sue Bande Nere furono assoldati dietro enorme pagamento dal re di Francia per assediare Pavia, allora in mano imperiale, difesa da migliaia di lanzichenecchi tedeschi. Si trattava di un assedio al centro di una più ampia campagna militare che coinvolgeva decine di migliaia di uomini per parte, e il destino di interi paesi. Giovanni era solo uno dei capitani, e il suo compito era quello di supportare il vasto esercito francese, al soldo dello stesso re Francesco I, con cui aveva una comunicazione diretta, senza alcun filtro. Perché Giovanni era tenuto in grande considerazione dal re, ma probabilmente non la pensavano allo stesso modo gli altri capitani. Durante le prime fasi dell’assedio, ad esempio, le compagnie delle Bande Nere furono comandate di disporsi lontano dal resto dell’esercito francese, senza un’apparente ragione, e la cosa puzzava a Giovanni. Infatti, furono attaccate di notte dagli assediati, che erano usciti da Pavia in una sortita. Giovanni riuscì a difendersi ma a caro prezzo, e dopo il combattimento andò lui stesso alla tenda dei comandanti per avere ragione di quel che era appena successo. Nessuno, però, volle riceverlo. Allora, di propria iniziativa, radunò le sue Bande Nere e guidò un contrattacco intorno alla città di Pavia, solo coi suoi uomini, sconfiggendo i nemici sortiti dalla città, facendo molti prigionieri per poi tagliarli tutti a pezzi. Tornò al campo infuriato, tutto coperto di sangue, mostrandosi al comandante francese Bonnivet e alla corte in tutta la sua furia per fargli capire che lui non era da mettere da parte. E lo fece capire in altre occasioni, scortando con successo rifornimenti in mezzo alle linee nemiche, sedando altre sortite, proteggendo l’accampamento. Ma, come dicono gli storici, non fu mai supportato a dovere dai francesi, in quell’assedio. Finché, un giorno, durante l’ennesima azione solitaria, non si buscò una palla d’archibugio nella gamba destra. Fu costretto ad abbandonare Pavia, lasciando il re di Francia a sbrigarsela da solo nell’assedio. E, come sappiamo, non appena andò via Giovanni ebbe luogo la celebre battaglia. E i francesi furono sterminati. Non ci fu nessuno a coprire la loro ritirata.

Della battaglia di Pavia si potrebbe parlarne per ore. Ma in questa occasione molti storici sottolineano la grande assenza di Giovanni de’ Medici, in quellos contro campale. Chissà se le cose sarebbero andate in maniera diversa, se il Gran Diavolo fosse stato presente.

Perché da quando Giovanni cominciò a combattere coi lanzichenecchi, si fece largo quel soprannome: Gran Diavolo. E ormai, dopo tutti gli aneddoti raccontati finora, intuiamo benissimo il perché: sempre in prima linea, con la spada in pugno, furioso e coperto di sangue; Giovanni appariva come un demonio. L’unico demonio che poteva proteggere l’Italia da quei temibili lanzichenecchi, i mercenari tedeschi che si facevano largo, da nord, per dilagare in tutta la penisola. L’anno dopo, nel 1526, giunse notizia che un grosso contingente di 14.000 lanzichenecchi scendeva in Italia, comandati da Georg Von Frundsberg, uno dei condottieri imperiali che vinse a Pavia, quando Giovanni era ferito e non poteva partecipare. Solo che adesso, Giovanni era guarito, e poteva occuparsene lui.

Nessun signore italiano voleva avere a che fare coi lanzichenecchi, che tanto duramente avevano dimostrato d’essere forti. Soprattutto adesso che erano raccolti in un’armata così poderosa. La battaglia campale contro di loro era, dunque, fuori discussione. Un esercito coeso e pronto per essere schierato contro di loro non c’era (o meglio, nessuno voleva radunarlo). Come fermarli, allora? Semplice, chiedendo a Giovanni: lui che era l’asso della guerriglia, dell’attacco fulmineo. L’unico che poteva farcela. L’obiettivo delle Bande Nere, dunque, divenne di seguire i lanzichenecchi e fiaccarli, dissanguarli lentamente lungo il percorso. Giovanni aggredisce quell’esercito superiore a lui di tre, quattro volte, colpendone la retroguardia, massacrando migliaia di Lanzichenecchi prima che arrivino al Po. Il Gran Diavolo diventa la minaccia numero uno del condottiero tedesco, e non vi è alcun modo di batterlo se non col sotterfugio. Giovanni, fino a quel momento sapeva come muoversi e come colpire il nemico perché ne conosceva le tattiche e le caratteristiche, e soprattutto sapeva che i lanzichenecchi non avevano pezzi d’artiglieria. Ma il condottiero tedesco, che sapeva come far leva sulla litigiosità e la perenne inimicizia tra gli italiani, sempre spezzettati tra loro in mille guerre, volle rimediare. Gli bastò chiedere qualche cannone al Duca di Ferrara, Modena e Reggio, Alfonso d’Este, che ce l’aveva a morte col papa, ed era pure stato scomunicato, e quindi era filo imperiale, e quindi fu ben lieto di sovvenzionare i lanzichenecchi con un bel po’ di pezzi d’artiglieria.

Il 25 del mese di Novembre, il Gran Diavolo, ignaro di tutto questo, attaccò ancora i lanzichenecchi, i quali tirano fuori a sorpresa i pezzi d’artiglieria, e fanno fuoco sui cavalieri delle Bande Nere, tra cui, in prima fila, vi è sempre Giovanni. Giovanni, stando alle fonti, si becca un colpo di falconetto, ovvero un pezzo d’artiglieria leggera, una sorta di cannoncino, dritto nella coscia, vicino a dove era già stato ferito l’anno prima a Pavia. La ferita è grave.

Giovanni viene portato a Mantova dove si decide di procedere con l’amputazione della gamba. E qui, cominciano gli altri aneddoti sulla figura di questo grandioso personaggio, quelli tosti. Furono chiamati otto o dieci uomini per tenerlo fermo, durante l’operazione. Ma lui, sorridendo, disse che non ne sarebbero bastati manco venti, se lui avesse voluto ribellarsi. E tirata via dalla mano di un servo una candela, la accostò alla ferita per far lume al medico, per fargli luce lui stesso, mentre gli veniva mozzata la gamba. Durante l’amputazione, che durò un bel po’ di tempo visto quanto è difficile, Giovanni non cambiò volto né voce, ma gridò due volte soltanto, quando si sentì segar l’osso.

Terminata l’operazione, Giovanni si fece portare la gamba su un vassoio d’argento, e nel vederla sospirò, più per la carriera di guerra stroncata, che per la ferita in sé. Perché il mestiere delle armi, per lui, era finito. E lo fu anche la vita. Dicono gli storici che il medico, tale maestro Abramo, aveva segato troppo in basso, lasciando il moncone incancrenito. E il male si diffuse comunque su tutto il corpo in breve tempo.

Giovanni riuscì a salutare suo figlio, Cosimo, che di lì a poco sarebbe diventato un grande esponente della famiglia Medici, forse il lascito più importante del Gran Diavolo. E, soprattutto, diede un ultimo e toccante saluto ai suoi uomini, le Bande Nere, che tanto lo avevano amato seguendolo fino alla morte, su qualsiasi campo di battaglia. E i lanzichenecchi? Be’, quelli continuarono a calare giù per l’Italia. E, successivamente, raggiunsero per davvero Roma, dando inizio al sacco tra i più devastanti della storia, quello del 1527. Nessuno li fermò. Sterminarono, devastarono e portarono via ricchezze a non finire, tanto che fu trafugato un immenso patrimonio artistico che ancora oggi è sparso per mezzo mondo. Tutto a causa di quel singolo evento, di quei falconetti concessi di nascosto al nemico. A dimostrazione del fatto che Giovanni, il Gran Diavolo, era davvero l’unico uomo, l’ultimo condottiero: e senza di lui, andò tutto in malora.

Ascolta Leggende Affilate, per vivere questa e altre appassionanti storie!

  1. La vita e le gesta di Giovanni de’ Medici, o Storia delle Bande Nere e dei celebri capitan che vi militarono, 1851, Mini C.
  2. Storia delle compagnie di Ventura in Italia, E. Ricotti
  3. Matteo Bandello
  4. Storia delle compagnie di Ventura in Italia, E. Ricotti
  5. Benedetto Varchi, storia fiorentina, I. p. 313
Lorenzo Manara
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