Close

8 Luglio 2018

Fuga dall’Isola del Diavolo

isola del diavolo fuga di papillon dalla prigione

L’Isola del Diavolo, la famigerata prigione sperduta nell’Oceano. Tra pipistrelli vampiro e squali: la morte era l’unico modo di andarsene.

Il suo nome era Henri, ma tutti lo chiamavano Papillon per via del tatuaggio a forma di farfalla sul petto. Nessuno sa con certezza se fosse davvero un assassino. Lui affermava di essere innocente (più o meno quello che dice ogni detenuto che si rispetti), tuttavia quando venne rinchiuso nel penitenziario sperduto nell’Oceano Atlantico il suo passato non contava più. Nell’Isola del Diavolo non esisteva alcuna distinzione fra innocenti e assassini: l’Inferno era pronto ad accogliere tutti.

Quella sera del 1941 Papillon si trovava in cima agli scogli dell’Isola del Diavolo. Fissava il movimento delle onde, in basso, che si infrangevano contro le rocce formando una vaporosa spuma bianca. Erano ormai undici anni che si trovava imprigionato là dentro, costretto ai lavori forzati e alle più tremende torture. Aveva tentato più volte di fuggire, ma non aveva ottenuto nulla di buono in cambio.

I carcerieri conoscevano svariati modi per punire i trasgressori. Nell’isola erano presenti così tanti pericoli che c’era solo l’imbarazzo della scelta. La giungla era disseminata di bestie come i pipistrelli vampiro, che amavano entrare nelle fosse dove venivano sepolti i reclusi. Le acque vicino alla spiaggia erano piene di scogli appuntiti, percorse da correnti molto forti e infestate dagli squali. Dissenteria, febbre gialla e rabbia erano le malattie più comuni da contrarre e la terra non offriva null’altro che una boscaglia inospitale inadatta alla coltivazione.

Papillon aveva deciso che era ormai giunto il momento di andarsene, in un modo o nell’altro. Sporgendosi dal dirupo osservò le onde. Le aveva studiate a lungo esaminandone il movimento: si ripetevano a cicli di sette, dalla più debole alla più forte. Era proprio l’onda più travolgente quella che lo avrebbe trascinato a largo, lontano dalla maledetta Isola del Diavolo. Il ritmo era fondamentale: doveva buttarsi al momento giusto o si sarebbe schiantato contro gli scogli.

Strinse a sé il sacco pieno di gusci di noci di cocco da usare come galleggiante e si avvicinò all’orlo del baratro. Lo sguardo era perso nel vuoto buio e fragoroso. Probabilmente sarebbe morto, ma non gli importava: la libertà lo attendeva. Prese un profondo respiro e si gettò di sotto.

Questo è quello che racconta Henri nel libro autobiografico “Papillon”, pubblicato nel 1969. Quanto ci sia di vero in quel libro non si sa. C’è chi dice che Henri abbia rubato i racconti che gli venivano narrati dai suoi compagni di cella, qualcun altro sostiene invece che il carcerato col tatuaggio a forma di farfalla non sia mai neppure stato sull’Isola del Diavolo. Nonostante le critiche (alcune fondate) il romanzo divenne un bestseller da milioni di copie e Henri poté godersi la libertà.

Già perché almeno una cosa è certa: quella sera del 1941 Papillon riuscì a fuggire. Si gettò dalla scogliera e venne trascinato via dalle onde. Aggrappato ai gusci di noci di cocco sopravvisse alle acque infestate dagli squali e andò alla deriva finché non toccò la sabbia del Venezuela, lontano dalla prigionia e dalla famigerata Isola del Diavolo.

Se anche gli fosse toccato l’Inferno nell’aldilà, Papillon non aveva paura. Perché lui all’Inferno c’era già stato.

Lorenzo Manara
Latest posts by Lorenzo Manara (see all)