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16 Febbraio 2021

Fata morgana, la strega primordiale

fata morgana

Fata morgana: dama, dea, guaritrice, strega e amante del diavolo. L’ambiguità del personaggio femminile più celebre del Medioevo.

“Viveva contro il comandamento di Dio. I suoi desideri erano seguiti da uccelli, bestie e spiriti malvagi. Poteva fare miracoli perché i draghi dall’aria le erano servitori. Ma aveva anche seguaci nelle profondità infernali e il diavolo era il suo compagno.” (Fata Morgana in Erec, Hartmann von Aue XII sec.)

Fata Morgana è uno dei personaggi letterari più conosciuti del Medioevo. Maga ambigua e perfino più potente di Merlino, nota nel folclore inglese ma anche francese, tedesco e italiano. Grazie al suo carisma e alla forte identità narrativa le culture d’Europa si sono impossessate del personaggio e le hanno permesso di assumere moltissime forme: da guaritrice devota a strega adoratrice di demoni.

Come abbiamo detto nel primo articolo di questo ciclo dedicato alle origini del fantasy, i popoli antichi hanno trascorso secoli a migrare da un paese all’altro. I Celti che si diffusero in principio nel cuore dell’attuale Germania si espansero sempre di più fino a giungere in Britannia, dove s’impadronirono dell’isola. Furono seguiti dagli Angli e dai Sassoni, per poi essere conquistati a loro volta dai Normanni i quali arrivarono coi loro poderosi cavalli un po’ dappertutto, perfino nell’estrema punta meridionale italiana. Mettici anche un po’ di incursioni norrene e un’origine greco-romana comune ed ecco che abbiamo gettato le fondamenta della cultura fantastica occidentale.

Chi era fata Morgana? Per la prima volta la troviamo nel Romanzo di Troia, opera del XII secolo che narra la storia della guerra di Troia. Si tratta di una specie di riadattamento medievale dei testi antichi che, oggi come allora, serviva per rinfrescare le stesse storie trite e ritrite e metterle sotto una nuova luce. Un po’ come fa la Disney con il rifacimento dei classici animati con attori in carne e ossa.

Nel Romanzo di Troia fa la sua comparsa una fata di nome Orva che regala a Ettore un cavallo per sedurlo. Ettore respinge sia il dono che l’amore della fata e quest’ultima inizia a perseguitarlo. Alcuni copisti successivi hanno mutato il nome da Orva in Morva, da cui si pensa derivi il nome Morgana. Ma la cosa davvero interessante è che da questo momento in poi prende piede un archetipo della letteratura medievale, ovvero quello dell’amante soprannaturale (anche un po’ perfida).

Ed è su questo aspetto che si snoda l’intera faccenda. Morgana ci può apparire ambigua nelle sue scelte e nei suoi amori perché lo era la stessa concezione della donna letteraria. Da un lato abbiamo pulzelle, dame e damigelle che gli autori antichi permeano di valori positivi. La tipica DiD, Donzella in Difficoltà del film d’animazione Disney “Hercules”, pesca a piene mani da questo concetto di cui si faceva largo abuso. Nel ciclo arturiano sono innumerevoli le avventure scaturite dal desiderio d’accontentare una certa dama o, più banalmente, di salvarla. Lo stesso codice cavalleresco imponeva obbedienza alle damigelle.

“Le fate sono legate a due registri: quello delle fate madrine che, eredi delle Parche antiche, decidono dei destini umani; e quello delle fate amanti che, innamorate di un mortale, dominano l’immaginario erotico del Medioevo. Dee radiose o streghe creatrici di filtri, le fate non hanno una collocazione precisa nella scala degli essere dotati di poteri soprannaturali: mortali o immortali, esse possono appartenere al nostro mondo o provenire da terre incantate.”

(Morgana e Melusina, Harf-Lancner, p XIII)

Dall’altro lato abbiamo la demonizzazione della mitologia greco-romana che si diffuse assieme al propagarsi della religione Cristiana. I miti e il folclore del popolo venne cancellato e sostituito sistematicamente, ed è in questo contesto che si sviluppò il personaggio di fata Morgana per come lo conosciamo oggi: sorella di re Artù, amante di Merlino (e dello stesso artù nella famosa versione moderna di Marion Zimmer Bradley “Le nebbie di Avalon”), maga potentissima e sovrana dell’Aldilà celtico e del regno dei morti.

Ma cos’è una fata? Il termine è presente in latino (fata), francese antico (fae, fei), inglese (fey), tedesco antico (feie) e appartiene al campo semantico dell’incanto, della magia. La tradizione delle Sibille nella mitologia greco-romana è probabilmente il punto di origine delle fate, che condividono quell’aura sovrannaturale comune alle profetesse antiche. Le fatae per i romani erano le Moire greche, ovvero le Parche: quelle tre entità responsabili del fato umano e del cosiddetto filo della vita.

Nell’Erec di Hartmann, fata Morgana appare come una dea in grado di muoversi con incredibile velocità, fare il giro del mondo in volo, respirare sott’acqua, risultare immune alle fiamme, trasformare gli uomini in pietra o tramutarli in animali. Inoltre ha il potere di dominare i demoni e il diavolo, suo amante, che appaga ogni suo desiderio.

Tutte cose molto carine, ma nelle numerose altre versioni Morgana è capace di compiere atti di estrema bontà, come salvare suo fratello Artù dalla morte. Quello della guarigione è infatti un altro potere di cui la fata si rende capace. I suoi unguenti curativi sono in grado di curare qualsiasi malanno, perfino la follia. Tutto questo insieme di elementi ha una certa assonanza con un altro archetipo del folclore europeo, una figura che ha dominato la tradizione medievale e, soprattutto, ciò che noi immaginiamo sui Secoli Bui: la strega.

L’aura sovrannaturale di fata Morgana, il suo aspetto erotico e al tempo stesso pericoloso in un dualismo amore/morte non può che richiamare alla mente il personaggio narrativo della vecchia megera che diviene bellissima quando le pare e le torna comodo. Da fata a strega il passo è davvero breve e già nel Lancelot del XII secolo ne abbiamo la conferma:

“A quei tempi venivano chiamate fate tutte le donne che sapevano di incantamenti e in Bretagna ve n’erano più che in ogni altra terra. Esse conoscevano le virtù delle parole, delle pietre e delle erbe e grazie a esse si mantenevano giovani, belle e ricche a loro piacere”

Lancelot ou le Chevalier à la charrette, XII sec.

Prima che vi lanciate col cervello a immaginarvi sante inquisizioni e roghi di donne nude coi capelli neri, lunghi e sudici devo specificare che siamo in una fase storica, quella alto medievale, in cui non esiste persecuzione di streghe o stregoni. E di certo non esiste come la s’immagina in film e serie-tv.

Per assistere a una caccia alle streghe da film bisognerà attendere il periodo rinascimentale (l’avreste mai detto?) e ancor meglio l’epoca dei Lumi (L’epoca della razionalità e della ragione!). E perfino nel periodo più buio del sistema cristiano-inquisitorio dei secoli XVI e XVII quelli che “sfuggirono di mano” non furono altro che episodi isolati che in alcun modo rispecchiavano la vita quotidiana della popolazione.

Insomma, le vecchie levatrici, brutte e bitorzolute, che vivevano al margine del bosco non erano considerate delle pericolose megere né tanto meno bruciate metodicamente sul rogo (sempre che ci fossero). L’evento che sfociava nel fuoco e nel sangue era più raro di quanto si pensa oggigiorno, anche se a onor del vero nella storia europea e americana hanno perso luogo degli episodi di caccia alla strega che sono diventati vere e proprie carneficine.

Ed è con questo spirito che anticipiamo il prossimo articolo, tutto dedicato alle streghe. Lavorando al romanzo che sto preparando in questo momento e che vedrà presto la pubblicazione sto raccogliendo tonnellate di aneddoti interessanti su queste robe qua, che ci piacciono tanto. Restate nei paraggi se vi affascina il tema, perché nel prossimo articolo parleremo di vecchie megere e intrugli magici.

Lorenzo Manara
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