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29 Gennaio 2019

Fame di storie: videogiochi, serie TV, film, fumetti, libri…

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Normale che nessuno legga libri. Provate a pensare a un giovane Leopardi davanti alla Playstation 4: platinerebbe Dark Souls e buonanotte Silvia.

Da sempre l’uomo si racconta. Fin da quando abitava nelle primitive caverne sente il bisogno di comunicare e, soprattutto, vivere storie. Non importa se vere o false, se lette su una tavoletta di pietra scolpita o guardate sul tv led 4k. La nostra esistenza poggia le sue fondamenta sulla narrativa e si potrebbe dire che quello del raccontastorie sia il mestiere più vecchio del mondo. O per lo meno che si trovi in seconda posizione, visto che la prima è sempre occupata dalle donnine allegre.

Abbiamo bisogno di storie, sempre. E lasciate stare i dati ISTAT. Ma sì, quelli riguardo la lettura, che in Italia nel 2017 solo il 41% della popolazione ha letto un libro. I romanzi sono roba vecchia. Un tempo si leggeva tanto perché non c’era altro. Ma ora. Ora abbiamo il mondo nella tasca dei pantaloni.

Fumetti, videogiochi, film, serie tv. E soprattutto Facebook, Instagram, Twitter, Youtube. Ognuno di questi mezzi è un infinito dispensatore di storie. C’è di tutto, dai capolavori degni di essere studiati nelle scuole al mediocre frutto delle sinapsi atrofiche di minorati mentali. L’offerta è virtualmente eterna.

C’è fame di storie. Ne abbiamo bisogno, una necessità che va ben oltre quella riproduttiva. Saremmo disposti a tutto pur di vivere delle storie, anche a credere nell’impossibile. Il problema però è il tempo.

Siamo come dei golden retriever senza guinzaglio in una fabbrica di insaccati: non sappiamo da dove cazzo cominciare ad abbuffarci; e abbiamo poco tempo per farlo. Diamo un morsino là a quel profilo Instagram? Ma sì, poi ci ingoiamo quel video su Youtube e ci spariamo in vena quella serie tv, 12 episodi di fila, fino alle 3 di notte. Però bisogna far veloce. Si corre da uno scaffale all’altro con la bava alla bocca, un morso qui e uno là. Non c’è mai un momento in cui pensiamo “ok, ora basta con le storie, ne ho prese abbastanza”. No, ne vogliamo ancora, sempre di più, ogni giorno.

Oggi le storie a disposizione sono così tante che non abbiamo più nemmeno la mentalità per andarle a scovare. Siamo dei predatori che hanno perso l’istinto di caccia. Perché prendere l’auto, cercare parcheggio, fare il biglietto e sorbirsi 30 minuti di pubblicità per uno stramaledetto film al cinema? In quel lasso di tempo mi sono già fatto un’ora di multiplayer su Steam. Chi me lo fa fare di uscire? E poi se volessi guardare qualcosa c’è Netflix, con quella grafica bellissima e gli spezzoni dei film che partono da soli. Sembrano tutti meravigliosi e vanno avanti a raffica, uno dietro l’altro. Se non si sta attenti ci si scorda pure di dormire.

Normale che nessuno legga i libri. Provate a mettere un giovane Leopardi davanti alla Playstation. Aprirebbe un canale Twitch per streammare Dark Souls e buonanotte Silvia.

Questo non è un articolo sui bei vecchi tempi, eh. Sappiamo ormai tutti che ogni strumento umano, se utilizzato ad arte, può generare arte. Fumetti, film e videogiochi non sono secondi alla letteratura e arriverà il giorno in cui saranno davvero considerati allo stesso livello.

Il vero problema risiede nei libri stessi. Adesso che i romanzi su carta non godono più del monopolio dell’intrattenimento, e la concorrenza è diventata spietata, è necessario puntare alla qualità. I libri devono puntare al massimo livello artistico raggiungibile per essere presi in considerazione. Cosa che attualmente non avviene.

Le case di produzione videoludiche sono arrivate ad assumere autori di fama mondiale per sceneggiare i loro prodotti. E noi pensiamo ancora che basta svegliarsi una mattina, accendere il portatile e scrivere la prima cosa che ci viene in mente per tirar fuori un romanzo. O, peggio ancora, che basta essere famosi. Nossignore, non funziona più così.

Per scrivere un buon libro bisogna studiare. E bisogna farlo così come lo farebbe chiunque voglia diventare musicista, ingegnere o chirurgo. Prima lo si capisce e meglio sarà per l’editoria.

Forse la gente ha smesso di leggere, ma di certo non ha smesso di sognare. Ha solo trovato altrove ciò che un tempo leggeva sui libri. Qualcosa che, a quanto pare, è democraticamente migliore. E’ colpa della gente? No, è colpa dei libri. O, meglio, di chi li scrive, pubblica e macera nel loro breve ciclo di vita stampata.

Basterebbe davvero poco. Basterebbe togliersi i paraocchi di seta e tornare a considerare i libri per quello che sono veramente: degli oggetti. Niente di sacro e intoccabile. Niente di cui è vietato parlar male. Oggetti che necessitano di anni di studio per poter essere realizzati allo stato dell’arte; gli stessi anni richiesti per imparare a suonare bene uno strumento musicale o disegnare bei fumetti. Solo grazie alla competenza e alla professionalità si potranno scrivere libri in grado di veicolare le stesse emozioni che trasmettono gli episodi di Black Mirror o una sessione di gioco a Ghost of a Tale.

Sono convinto di questo perché mi è capitato. Qualche volta mi è capitato di leggere un romanzo di quelli che ti tengono sveglio fino a notte fonda, quel tipo di storie che ti fanno dimenticare del tempo che passa e della TV 4k. Ecco, così si deve fare.

E’ così che si salveranno i libri.

Lorenzo Manara
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