Eutimo di Locri: il sacro pugile

A pugni col demone! La leggenda di Eutimo di Locri, sacro pugile della Magna Grecia
In un testo in greco antico del II secolo dopo Cristo, scritto da Pausania il Periegeta, si narra una storia il cui protagonista è un leggendario pugile: Eutimo di Locri. Pugile nativo dell’Italia del sud, allora colonizzata dai greci: ovvero, la gloriosa Magna Grecia. Un pugile davvero leggendario, poiché non si limitò ad affrontare avversari “normali” alle olimpiadi antiche (di cui fu campione per ben 3 volte), ma nel corso della sua carriera poté fregiarsi d’aver lottato pure contro un demone. Perché Eutimo era un pugile, sì, ma soprattutto era un eroe.
Si narra che Eutimo fosse nato a Locri, figlio di un certo Asticle. Tuttavia l’autore antico ci confida che gli italiani di quei luoghi lo credevano di origini soprannaturali. Secondo le voci che giravano, costui era nato in verità dal letto di un fiume, e questi suoi natali straordinari lo accomunavano agli esseri divini, come spesso lo erano proprio gli eroi, nel senso classico del termine. Ma Eutimo non viene descritto con particolari poteri sovrannaturali, come la forza sovrumana di Ercole, o l’invulnerabilità di Achille. E quindi, in definitiva, Eutimo era un uomo, mortale. Certo, un uomo straordinario, poiché figurava tra i più grandi atleti del mondo, soprattutto per quanto riguardava la lotta, e nello specifico: il pugilato.
Il pugilato è l’antichissima arte del combattimento a mani nude. Secondo alcuni storici praticata anche prima delle olimpiadi, perché di fatto abbastanza semplice nelle sue regole: due sfidanti che si devono abbattere, a mani nude o con guantoni, proprio come oggi (e ci sono alcuni bellissimi reperti che rappresentano fasce per le mani di vari materiali). Talvolta gli sfidanti dovevano abbattersi in senso letterale, ovvero all’ultimo sangue. Può darsi, quindi, che in certi casi fosse una disputa mortale. Delle regole, in verità, non sappiamo granché, con precisione, perché non ci sono pervenute integralmente. Possiamo concludere, però, che il pugilato olimpico non fosse mortale, naturalmente, e che gli atleti lottassero fino al KO avversario, senza riprese, allo sfinimento.
Eutimo, quindi, era così bravo a lottare che partecipò ai giochi olimpici, a Olimpia, nell’anno 484 avanti Cristo, e vinse nella sua specialità: campione dei campioni. Il campione dei campioni, però, al tempo, era un altro: Teogene di Taso. Teogene nella storia antica è probabilmente il lottatore più famoso di tutti i tempi, così forte da rimanere imbattuto per 22 anni, con più di 1400 vittorie, stando ad alcune fonti. Lui, Teogene, era un dio in terra, e infatti molti lo ritenevano figlio di Eracle.
Secondo alcune interpretazioni storiche, tra cui quella di Pausania, Teogene non fu affatto contento di vedersi spodestare da questo novellino, all’olimpiade. Perciò, nell’edizione seguente del 480, quattro anni dopo, si iscrisse alle olimpiadi al solo scopo di lottare con Eutimo e sconfiggerlo. Ma non voleva solo sconfiggerlo. Voleva umiliarlo. Per questo si iscrisse sia alla disputa di pugilato che a quella di pancrazio, ovvero una forma di lotta simile, ma più “cattiva”, perché a quanto pare le regole erano meno restrittive e si potevano far prese, sottomissioni, e si vinceva con la completa dominazione dell’avversario. Iscrivendosi a entrambe le discipline, Teogene screditava, di fatto, tutti i suoi avversari, lasciando sottintendere che non aveva bisogno di dedicarsi al 100% con nessuno di loro e, anzi, poteva permettersi di dividere le proprie energie disputando due diverse discipline contemporaneamente.
Ora, Teogene era un grande lottatore, probabilmente il migliore, e il primo contro cui lottò all’olimpiade fu proprio Eutimo. Secondo il resoconto, riuscì effettivamente ad avere la meglio, e impedire a Eutimo di vincere per una seconda edizione consecutiva. Tuttavia, al contrario di quel che avrebbe voluto lasciare intendere, l’incontro col pugile italiano lo aveva lasciato completamente esausto. Teogene non si presentò nemmeno alla sfida di pancrazio, tanto era stato messo alla prova da Eutimo (che aveva sconfitto, sì, ma con estrema difficoltà). E quindi non presentandosi al pancrazio, fece vincere l’avversario a tavolino (un tale Dromeo di Mantinea). E questo non piacque affatto, a nessuno. Tanto che il comportamento considerato “antisportivo” di Teogene diede origine a una vera e propria multa. Perché i giudici (sì, c’erano i giudici alle olimpiadi antiche) lo punirono. La colpa era quella di essersi iscritto a due discipline onorandone solo una, per umiliazione di tutti i partecipanti. Insomma, multa e ammonizione per scorrettezza e scarso fair play per Teogene.
Dopo questa vicenda, Eutimo non si diede per vinto e partecipò ancora alle olimpiadi, quattro anni dopo, nel 476. E vinse. Teogene non c’era, per via della multa. Quindi Eutimo partecipò pure nel 472, l’edizione successiva, e vinse di nuovo. Il suo successo fu celebrato grandiosamente, perfino con la creazione di una statua in suo onore, a Olimpia, assieme alle raffigurazioni degli atleti e degli dei dell’Antica Grecia. Le imprese di Eutimo, però, non si conclusero qui, con gli ori olimpici e qualche screzio con gli avversari. Perché costui era un eroe, e come tale avrebbe partecipato a un’avventura degna di un eroe, ovvero la disputa soprannaturale con una pericolosissima creatura: un demone.
Eutimo tornò in Italia, e nello specifico nell’antica città di Temessa. Non si sa bene dove si trovasse questo luogo, presumibilmente in Calabria, non lontano da Locri, di dove era originario il pugile. Si tratta infatti di una località scomparsa e citata in svariate fonti dal respiro leggendario, come l’Odissea di Omero. E proprio l’Odissea presenta un legame molto forte con quella terra, poiché il peregrinare di Ulisse nel suo lunghissimo viaggio di ritorno da Troia lo fece approdare lì, a Temessa. Pausania narra che Ulisse sbarcò a Temessa con le sue navi, per rifornirsi durante una breve sosta, e che un suo marinaio in particolare fu colpevole di un orrendo crimine. Costui si era ubriacato, aveva rapito una giovane vergine del luogo e aveva abusato di lei. Gli abitanti di Temessa, adirati, andarono a prendere il marinaio e lo lapidarono a morte. Saputo ciò, Ulisse ritenne che la questione fosse risolta, visto che il criminale aveva pagato per il suo crimine con la pena capitale. Salpò con le sue navi e riprese la sua odissea. Ma la questione non era finita lì. Perché il marinaio lapidato tornò dall’Oltretomba per proseguire la sua orrenda opera, colto da furia omicida.
Un demone, dunque, cominciò a perseguitare gli abitanti di Temessa. Ho usato finora la parola “demone” laddove l’originale greco è “daimon”. Quindi, naturalmente, non stiamo parlando di un demone per come lo conosciamo noi oggi, di natura cristiana, con le corna, gli zoccoli, eccetera (un diavolo, tanto per intendersi). Il daimon greco è uno spirito, talvolta tradotto in italiano anche come “genio” (ma viene fatto soprattutto in vecchie traduzioni). Il fatto è che non c’è un termine equivalente esatto. Anche perché non esiste una definizione trasversale, ed esatta per tutti: svariati autori e filosofi antichi hanno detto la loro sull’argomento.
Per tornare alla nostra storia, alla storia del pugile, ci basta sapere che questo daimon in particolare non era altro che un redivivo, come i non-morti delle tradizioni medievali di cui ho narrato un mucchio di storie nella playlist Leggende Affilate. Un redivivo maligno, ricolmo di collera, tornato sulla terra dal Regno dei Morti per infastidire (e uccidere) i viventi. Una vera e propria piaga, poiché uccideva tutti, senza fine, bersagliando chiunque a qualunque età. Tanto che gli abitanti pensarono pure di abbandonare la città, trasferendosi altrove. E lo avrebbero fatto, se non fossero stati fermati dalla Pizia, la sacerdotessa. Costei, interrogata sulla natura del demone, disse che gli abitanti avrebbero dovuto placarlo recintandolo e chiudendolo in un santuario. Per poi adorarlo con un’offerta annuale.
E qui, qualcuno di voi avrà già capito dove andiamo a parare. Perché di entità maligne da placare con offerte (spesso annuali e sanguinose, come il premio dell’assicurazione che mi tocca pagare a settembre), è piena la tradizione greca antica. Ma anche quella romana e la tradizione letteraria medievale, tra mostri e draghi che tengono sotto scacco intere cittadine e vengono puntualmente rabboniti con dei sacrifici: perché di questo si parla, sacrifici. La Pizia disse agli abitanti di Temessa di dare in sacrificio al demone una vergine ogni anno. E gli abitanti, piuttosto che lasciare la città, ubbidirono. E il demone si placò.
Ora, tutto questo era avvenuto al tempo dell’Odissea di Ulisse, e dunque secoli prima della nascita del pugile Eutimo, il quale, tornato dall’olimpiade si fermò proprio a Temessa e venne a sapere di quella storia e del sacrificio annuale che ancora veniva perpetrato dagli abitanti. Sconvolto da quella vicenda, chiese di vedere la vergine che era stata scelta per essere data in pasto al demone. E gli abitanti lo accontentarono: lo condussero al tempio e, come nelle migliori storie di antichi eroi, alla sola vista di lei, il pugile si innamorò.
Adesso la sua impresa era chiara: salvare la vergine dall’infausto destino per cui era stata scelta. E pure la vergine era d’accordo nell’essere salvata: gli disse chiaramente, infatti, che lei sarebbe andata via con lui. Presumibilmente innamorata a prima vista, pure lei. Anche se, sul patibolo, forse siamo tutti propensi a innamorarci alla svelta di un qualsiasi salvatore, no?
Ma Eutimo non si limitò a prenderla in braccio e portarla via, perché gli abitanti avrebbero dovuto sceglierne un’altra, e la cosa sarebbe andata avanti. Eutimo era un eroe, e voleva concludere la faccenda una volta per tutte. Dunque restò nel santuario con lei, nell’attesa della venuta del demone. E quando questi si presentò, emergendo dall’Oltretomba, Eutimo lo affrontò. Purtroppo non ci viene descritto nel dettaglio l’epico scontro. Sappiamo solo che Eutimo vinse la pugna, e vista tutta la narrazione dell’opera improntata sulla sua carriera di pugile e le sue vittorie alle olimpiadi, mi viene facile da immaginare che l’eroe di Locri abbia affrontato l’orrendo daimon a pugni, mandandolo KO con un bel gancio sul mento rattrappito di non-morto plurisecolare.
L’antico e malefico marinaio dell’equipaggio di Ulisse, fu sconfitto, cacciato dal santuario e buttato a mare, lo stesso mare da cui era venuto, molto tempo prima. Eutimo e la giovane celebrarono delle nozze meravigliose, in mezzo a una cittadina adorante, e tutto è bene quel che finisce bene. Pausania conclude dicendo che al suo tempo gli abitanti se la passavano ancora alla grande, poiché un mercante suo amico era stato lì, e confermava il loro benessere. E che Eutimo visse molto a lungo, lasciando dietro di sé molte tracce della sua impresa, di quando disputò l’incontro di pugilato col demone.
Oltre alle statue che testimoniavano la sua vittoria a Olimpia, Eutimo fu protagonista di un grandioso dipinto, racconta l’autore, dove si raffigurava proprio l’impresa di Temessa. E ce lo descrive in minima parte, soffermandosi sulla rappresentazione del demone: “orribilmente nero di colore, e in tutta la sua figura sommamente terribile; per veste era ravvolto in una pelle di lupo (…) il nome ancora davangli di Libante”. Quindi, in fondo al racconto, ci dice pure il nome di questo marinaio maledetto, che fu così sfortunato da finire sotto i pugni del più grande pugile della Magna Grecia.
Spero che questo episodio vi sia piaciuto. Sono convinto che gli appassionati di pugilato l’abbiano particolarmente apprezzato, anche perché abbastanza sconosciuto. Vi invito a mettere un olimpico mi piace, condividere e iscrivervi al canale, così potrete ascoltare tutte le altre storie, che ho raccolto in comodissime playlist affilate. Grazie, e alla prossima.
CAPO SESTO Altre statue degli atleti poste in Olimpia – Eutimo pugile, e sue gesta.
1. In Olimpia presso la statua di Polidamante vi sono due Atleti di Arcadia, ed un terzo Attico. Protolao di Dialce, da Mantinèa, che vinse al pugillato i garzoni, è opera di Pittagora Regino: di Dedalo Sicionio è Naricida figlio di Damareto lottatore da Figalia; a Callia Ateniese pancraziaste fu fatta la statua da Micone cittadino Ateniese pittore. Opera di Nicodamo Menalio è Androstene di Locheo pancraziaste da Menalo, il quale riportò due vittorie fra gli uomini. Dopo questi viene Eucle di Callianatte, Rodio di nascita, e della famiglia de’ Diagoridi; imperciocchè era figlio della figlia di Diagora; ed ottenne la vittoria Olimpica del pugilato fra gli uomini. Il ritratto di costui è opera di Naucide. Policleto Argivo poi, non già colui, che fece la statua di Giunone, ma lo scolaro di Naucide fece Agenore Tebano garzone lottatore: fu la immagine dedicata dal comune de’ Focesi. Imperciocchè Teopompo padre di Agenore era publico ospite della loro nazione. Nicodamo poi, lo statuario da Menalo, fece Damossenide pugile suo compatriotto. Vi è ancora il ritratto di Lastratide garzone Elèo, che riportò la corona alla lotta: ottenne costui una vittoria fra i garzoni nei giuochi Nemèi, ed un’altra fra gli imberbi. Paraballonte padre di Lastratida poi ottenne di restare superiore nel corso del diaulo, e lasciò ne’ posteri la emulazione di registrare nel ginnasio di Olimpia i nomi de’ vincitori Olimpici. Questo è ciò che spetta a costoro.
2. Per ciò poi che spetta ad Eutimo pugile, non era conveniente che io passassi sotto silenzio ciò che riguarda le sue vittorie, e le altre gesta sue gloriose. Era adunque Eutimo nato ne’ Locri d’Italia, i quali abitano quella regione, che è rivolta al promontorio Zefirio; e il padre suo ebbe nome Asticle: ma i nazionali affermano non essere questi stato il padre di lui, ma bensì il fiume Cecino, il quale dividendo la Locride dal territorio Regino, porge questa meraviglia sulle cicale, conciossiachè le cicale che sono dentro la Locride fino al Cecino cantino, siccome le altre; valicato però il Cecino, le cicale che sono nel territorio Regino non mandino più fuori voce di sorte alcuna. Di questo fiume adunque dicesi nato Eutimo. Avendo egli però riportato in Olimpia la vittoria del pugilato nella Olimpiade LXXIV, non dovea andar così felicemente per lui nella Olimpiade seguente. Conciossiachè Teagene Tasio, volendo nella stessa Olimpiade riportare insieme le vittorie del pugilato, e del pancrazio, superò nel primo Eutimo. Ma neppure Teagene potè ottenere l’olivo nel pancrazio, come colui che era già spossato dalla pugna contro di Eutimo. Per la qual cosa gli Ellanodici imposero a Teagene la multa di un talento da consacrarsi al Dio, e di un talento pel danno recato ad Eutimo; poichè sembrò loro, che avesse scelto l’agone del pugilato pel suo rancore contro di lui: per questo lo condannarono a sborsare particolarmente anche ad Eutimo il danaro. Nella Olimpiade LXXVI. poi Teagene pagò l’argento dovuto al Dio, e per rimunerare Eutimo non entrò al pugilato; ed Eutimo sì in quella, che nella seguente Olimpiade riportò la corona al pugilato. La statua sua è opera di Pittagora, ed è sommamente degna a vedersi.
3. Ritornato in Italia combattè allora contro Eroe. Quello che spetta a costui andò così: Dicono che Ulisse andando errando dopo la presa d’Ilio fu dai venti trasportato in varie città d’Italia, e di Sicilia, e fra queste giunse in Temessa insieme colle navi; ivi inebriatosi uno de’ marinai fece violenza ad una vergine, e dai nazionali per questo delitto fu lapidato: Ulisse non dandosi cura della sua perdita navigando andossene. Ma il Genio dell’uomo lapidato non lasciava occasione alcuna onde uccidere similmente gli abitanti di Temessa percorrendo tutte le età. Fino a tanto che la Pizia, sendo essi in procinto di fuggire d’Italia non permise loro di abbandonare Temessa, ma ordinò loro di placare Eroe, e che tagliando un recinto, un tempio gli edificassero, e a lui dessero ogni anno la più bella delle donzelle di Temesso. Assoggettatisi alle cose scritte dal Dio non ebbero più timore del Genio. Ma Eutimo (imperciocchè era pervenuto in Temessa, e si teneva allora l’usato costume circa il Genio) sentì ciò che essi in quel momento faceano, e desiderò di entrare nel tempio, ed entrato di vedere la vergine. Come la ebbe veduta, prima se ne mosse a compassione, e quindi s’innamorò di lei. La donzella gli giurò, che se salvata l’avesse si sarebbe seco lui con giunta, ed Eutimo stette aspettando la venuta del Genio. Vinse egli la pugna; imperciocchè Eroe fu dalla terra cacciato, e disparve sommergendosi nel mare. Ed Eutimo celebrò nozze illustri, e gli uomini di quella contrada furono per l’avvenire liberati dal Genio. Ascoltai ancora questa cosa circa Eutimo, che pervenne ad una estrema vecchiezza, e che fuggendo di morire, in un altra guisa partì dagli uomini. Che Temessa poi sia ancora abitata a’ miei giorni lo intesi da uno che vi avea navigato per mercatare.
4. Questo io udii; ma la pittura seguente fu da me veduta sendomivi incontrato. Era essa la copia di una pittura antica: dipinti vedevansi il garzoncello Sibari e il fiume Calabro, il fonte Calica, ed inoltre Giunone, e la città di Temessa; fra queste v’era il Genio ancora cacciato da Eutimo, orribilmente negro di colore, e in tutta la sua figura sommamente terribile; per veste era ravvolto in una pelle di lupo. Le lettere che sotto quella pittura erano scritte, il nome ancora davangli di Libante. E questo basti sopra tale argomento. ”
Descrizione della Grecia di Pausania nuovamente dal testo greco tradotta da A. Nibby membro ordinario dell’Accademia romana di archeologia
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